Questa casa è, come tutti sappiamo, costruita per accogliere il riposo dei musicisti “dove quanti hanno vissuto nella Musica, nel teatro, trovino acquietamento, conforto, giusto agio vitale per le stagioni estreme. Senza distinzioni, in un vero concerto di uguaglianze, nel sovrano rispetto della dignità umana”, come scriveva, nel volume curato da Guido Lopez, quattordici anni fa, Gianandrea Gavazzeni.
Chi siano questi musicisti, Gavazzeni stesso spiega: “Chi ha vissuto e vive dentro il teatro e la musica conosce bene quanto diverse siano le sorti, le fortune, le ascese al successo e alla fama sino ai decadimenti e ai tramonti. Artisti di lungo successo, o di breve durata; ancoraggi coniugali o familiari sicuri oppure solitudini irresolute. Guadagni finanziari custoditi nel risparmio o sperperati nell’illusione che la vita potesse sempre proseguire con la fortuna in fronte oppure parsimoniose cautele polverizzate dalle vicende monetarie generali”.
Per il sociologo, questa sarebbe ed è materia di documento e inchiesta; e lo psicologo può qui studiare molti pensieri e sentimenti estremi. Ma per Verdi, per tutti coloro che ora ne seguono la linea mentale, non si tratta di casi, bensì di persone. E non persone consuete, ma artisti: gente che ha covato nel suo cuore le promesse dei segreti da rivelare, gli ardimenti e i gesti solitari da compiere nella speranza che diventino patrimonio di tutti; gente che nella vita ha avuto il coraggio di compiere una scelta alla conquista di un’utopia. Gente, per di più, come i musicisti abituati a un lavoro duro di intrecci fra teoria e gesto, fra matematica sublime e pronte intese, tra le stanchezze del mestiere e il lumicino che sta acceso a ricordarne le ragioni...
Verdi conosce bene questa gente; e non li vuole organizzare, ordinare, assimilare in un modello; e non li vuole mettere in un qualcosa che significhi uno stato diverso da quel che hanno vissuto e quel che sono. Per questo è come se abitasse tra loro, come se fosse lui l’ospite nelle loro case.
Ognuno può portare con sé, arrivando alla Casa di Riposo, la propria roba, arredando la propria stanza o riempiendola di ciò che più gli è caro. Uno può vestire come ha sempre fatto e come crede. Una volta, e temo ancora adesso, in molti di questi luoghi si chiedeva addirittura una divisa da indossare: ragioni pratiche. certamente, dettavano questa impostazione un po’ militaresca, ma con un sottile substrato ideologico. Verdi lo proibì decisamente e duramente; era così naturale, era così coerente e logico; ma a guardare le più vecchie fotografie di Casa Verdi, sembra un po’ di vederli in qualche cosa che rassomiglia a un’uniforme, questi cari Ospiti artisti: un’impressione, forse, un sospetto. Tutto è lento e faticoso, quando ci si mette in cammino per riscoprire la più naturale libertà...
Si entra, dunque, in Casa Verdi e ci si accorge subito che le persone son persone, e la vita è la vita. Nessun modello, nessuna finzione sulla bontà e saggezza mite della terza età. Ma se la vita è la vita, ci saranno tensioni e solitudine, piccolezze e intralci, anche baruffe, anche cattiverie. Non credo che ci sia un’età - neanche l’infanzia - che ne sia esente. Ma ciò che Verdi ha intuito e offerto dall’inizio, senza spiegarlo, è che la dimensione generale cambia se a un artista si offre l’aristocrazia di un luogo, l’agio del non sentirsi imprigionato, la non oppressione dei rapporti di vicinanza. E non c’è luogo della casa dove chi riceve gli amici o i parenti debba chiedere scusa, o faccia un po’ di pena. Pare di poter cogliere, in tutto, quella straordinaria concretezza da contadino colto, che Verdi ebbe sempre in ogni sua iniziativa.
Quando ad esempio donò l’ospedale di Villanova, e insistette perché vi fossero le suore ad assistere i degenti dovette rintuzzare le osservazioni anticlericali: gli bastò però fare il confronto tra il modo soave ed esperto, o almeno pulito igienicamente e organizzato con cui le suore assistono í malati e l’immaginazione di come si comporterebbero le ragazze di campagna in quel mestiere improvvisato, per far sentire le ragioni della scelta. C’è, nella precisione attenta ed esigente di Verdi, in coerenza con il suo modo di pensare il teatro, il mettere in scena: non riconoscersi nel gesto che compie, nelle intenzioni, ma volerlo fare nel risultato concreto, in ciò che accadrà passo a passo nella realtà... Casa Verdi non è perfetta, ma è cresciuta con l’abitudine a discutere i problemi concreti, non a celebrare la bontà dei donatori, che pur rimane nel cuore degli Ospiti e di tutte le persone dabbene, o a qualificarsi come istituzione esemplare: Casa Verdi è ciò che si vive giorno per giorno, su questo, fin dai tempi dei primi eredi di Verdi, si misura.